30/10/07

Beatrice Borromeo.

Beatrice Borromeo per due ore tra le mie mani.
Potrebbe solo migliorare.
A cominciare dalla voce.
Poi dai gesti.

Imparerebbe un po'.
Sì, sarebbe un po' meno signora.
Ma scommetto che non v'importa.

Due ore bastano.
A me bastano.

29/10/07

I sintomi e la cura.

Bendata, legata, inginocchiata davanti a te, aspetto il tuo sperma come l’ostia.
Attendo che tu m’asperga con la tua benedizione.
Voglio che entri, che assaggi ogni cosa.
Voglio che umetti ogni mio buco d’umore, che mi allarghi per farti spazio.
E se serve fammi provare dolore.
Voglio la tua lingua che striscia in ogni anfratto il mio nome.
Cura la mia voglia di cazzo, dottore.

25/10/07

Nome

"Le ho strofinato addosso il suo nome con la punta della lingua ripetendolo fino a che lei ha raggiunto il culmine."

Questo lo scrive Tiziano Scarpa su "ilprimoamore".

Mi piace pensare che ci sia un uomo capace di fare e di dire certe cose.

Ce n'è qualcun altro lì fuori?

23/10/07

Carnago e Carnalità.

C’era gente. Ed è già qualcosa.
C’era Raul. Il che ha reso molto più interessante la serata.
Era bellissimo, fisicato, di nero vestito, e coi suoi meravigliosi tricipiti esposti (tricipiti, sì, perché secondo lui il bicipite ha una forma abbastanza ovvia, non è un muscolo interessante. Il tricipite definisce meglio la figura).
Quando si è tolto il maglione il livello ormonale femminile nella stanza si è alzato notevolmente.
Si sono arruffati i peli, si sono alzate le minigonne e aperte le scolature.

Anna non a caso aveva un miniabito corto.
E sempre non a caso si è fiondata da lui a parlare, nonostante l’altra volta mi avesse detto che gli stava antipatico.
L’Assessora alla Cultura abbondava di forme. Dentro e fuori gli abiti.

E poi c’erano le signore del “Lui l’ho già visto in tv”.
C’era quella voglio ma non posso, che vuole farti una domanda, l’incipit è “siccome anch’io scrivo” e poi parte col pippotto da 20 minuti e alla fine le chiedi “va bene, ma la domanda qual era?”

C'era Stefania col figlio minorenne. Ed è stato divertente vedere l'interazione tra madre e figlio durante un discorso così piccante.

C’erano gli amici. Quelli tanti. Anche in ritardo.
C’era pure Dario, che mi ha scritto un anno fa. Non l’avevo riconosciuto. Ha un bel sorriso.
E non è tanto alto.

C’era Gigi, che ha fatto ridere tutti con la battuta giusta nel momento perfetto.

C’erano i biscottini e il the.

C’era molta intimità.

C’era gente che ha ascoltato e poi è andata via.
E va benissimo così.


C’ero io. E mi sono piaciuta molto.
Merito del trucco. Del vestito. E merito di Raul, che ha reso tutto così perfetto.

Sono felice.

19/10/07

INTERDET

Non so se avete letto dell'ignobile disegno di legge di Levi e Prodi contro internet.
Trovate tutto sul sito di Beppe Grillo.
Bene. Queste persone al governo si devono curare, perché hanno dei grossi problemi.
Lo dico perché è evidente che non stanno bene.
Mi auguro che rinsaviscano in tempo.

Signori: VI DOVETE CURARE!

Esistono psicanalisti. Potete permettervi cliniche private.
Usatele.

Avete bisogno di vacanza... anzi: perché non state direttamente a casa?

Comincio a farmi serie domande sulla vostra capacità di intendere e di volere.

E credo che se le stia facendo tutto il popolo di internet.
Il problema è quando cominceremo a darvi risposte.
Allora sì.

Stasera.

Vi aspetto, neh?
Avrò la gonna.
Credo.

17/10/07

L'estetica della trasgressione.

Ieri sera facendo zapping sono incappata casualmente in “Ciao Darwin”.
Si fronteggiavano due schieramenti: madri di famiglia vs trasgressive.
Le madri di famiglia vestite da sciure, le trasgressive vestite da travoni.

Le prove ovviamente sono state delle più banali: camicie da stirare, e lap dance al palo da improvvisare.

E’ quello che non mi piace della tv: il dover rendere esteticamente palese un modo d’essere.
Esemplificare secondo tagli troppo netti, troppo approssimativi, le persone. O la realtà delle persone.

La mia amica Doroty oggi è arrivata in ufficio dopo aver accompagnato i figli all’asilo.
Mi ha riportato il mio frustino in una voluttuosa custodia nera.
L’aveva tenuto in borsa, vicino al biberon col succo alla pera.
Me l’ha riconsegnato senza cerimonie, come si restituisce un pacchetto di zucchero.


Più tardi, chiacchierando di calze e scarpe come al solito, ho intravisto sotto il lembo della gonna i lividi dell’amore, lasciati in posti che non si vedono.
Posti che solo lei e qualcun altro sanno.

Nessuno sbandieramento.

E’ bellissima questa mamma dal sorriso solare, che sa cucinare delle zuppe d’orzo favolose.
E’ bellissima quando si accarezza di nascosto i segni delle corde.

E l’unica concessione che fa al pubblico è lo smalto Rouge Noir di Chanel sulle unghie.

Ah, se la gente sapesse… Però non lo sa. E forse non arriva neanche a immaginarlo. Ed è proprio questo il bello.

16/10/07

Ebbene si! Di nuovo Carnago.

Lo so che vi stresso, ma forse, finalmente, è tutto definitivo.
BIBLIOTECA COMUNALE (e giuro che è l'ultima volta che cambiamo location)
ore 21.00.
Raul Montanari c'è.
La piccola Vale pure.
Mi metto carina. Promesso.

13/10/07

La verità, vi prego, sulla pubblicità.

La dovete sapere la verità sulla pubblicità.
Dovete sapere chi vi manda in giro con le braccia alzate a urlare “riconoscersi a pelle”.
Chi opera alle vostre spalle mentre vi rifila la nutella.
Sono i Signori Burns della pubblicità italiana, o meglio, gli immortali delle grandi marche del mercato, che vi stanno accanto da quando siete nati.
Lo dovete sapere di queste aziende piramidali, con i pavimenti in linoleum al primo piano, con parquet al secondo e col marmo al terzo, via via che si va più su.
Dovete sapere che il piano dove sta il grande capo ha le porte insonorizzate e bisogna parlare bisbigliando.
Dovete conoscere la corte dei miracoli di chi sta sotto:
nane petulanti che stanno a capo del gruppo ricerche, donne grasse, brutte, insoddisfatte e cafone che vendono prodotti snellenti e per la bellezza del corpo.
Codardi senza palle dalla doppia faccia che ogni sera devono svuotare completamente la scrivania per evitare che quelli delle pulizie facciano spionaggio.
E’ gente che non può tenere niente di personale sulla scrivania, neanche la foto dei figli.
Lo dovete sapere chi c’è dietro quelle pubblicità con la ragazzina che saltella felice vicino al bidet.
Lo dovete sapere che dietro quegli spot dove annunciano che il deodorante è fatto apposta per voi, c’è un uomo di 90 anni che si fa cambiare il sangue.
Ci sono vecchi immortali che non sanno cos’è un computer, e che pretendono che tutti si alzino in piedi quando fanno il loro ingresso in una riunione.
Lo decidono con le tabelle in mano e col cronometro nel palmo, se uno spot vi piacerà.
Prima di fare una cosa qualsiasi, sappiate che vi hanno già incasellati, misurati, sondati.
Esistono schemi standard su cosa siete e cosa desiderate.
Ci sono uomini, anzi, vecchi, ottuagenari che ancora impastano la farina e il cioccolato e hanno accanto una schiera di 10 vecchi amici che devono assaggiare e votare.
Ma nessun voto più basso di 8 viene accettato.
C’è gente di 40 anni che viene presa a scappellotti dal capo, se sbaglia qualcosa.

Ci sono persone che quando arrivano a un minimo di posizione, tiranneggiano su quelli sotto, urlando, imponendo decisioni a caso, entrando nelle riunioni distribuendo il proprio biglietto da visita e dicendo “così finalmente capite chi sono io”.

Impacchettano e scelgono prodotti da specialisti, perché solo loro vi capiscono veramente, ma poi non aprono un blog per il terrore che la gente possa dare la propria obiettiva opinione sul prodotto.

Insistono a spendere 800 mila euro per girare 4 secondi di una nocciola che cade nel cioccolato, perché pensano che così facendo voi siate più invogliati a comprare.

Siete in mano a della gente triste, che ogni tre mesi ha il terrore di vedersi cambiare di posto e di ruolo.

Siete in mano a quelli che vogliono il super un po’ più grande perché si deve leggere meglio.

Ogni volta che prendete un deodorante neutro famoso, o un barattolo di nutella, o una qualsiasi delle cose che raccattate ormai automaticamente dallo scaffale, pensate che lì dietro c’è una schiera di persone tristi, con a capo un vecchio dinosauro che si ostina a non morire.

Pensateci. E fatemi una cortesia: quando c’è qualche ricerca di mercato, mentite.

12/10/07

Mi ricordo.

Io mi ricordo lo zaino dell’invicta a strisce bianche e blu orizzontali dove mettevo la roba per fare ginnastica a scuola.

Mi ricordo di Mimì Ayuhara.

Mi ricordo anche Crimy e Lamù.

Mi ricordo che Georgie era il primo cartone dove due si baciavano.

Mi ricordo anche che Ciobin mi faceva schifo.

Mi ricordo che nelle patatine c’erano le sorprese.

Mi ricordo le cabine del telefono e i gettoni col taglio in mezzo che servivano proprio per chiamare.

Mi ricordo che si usavano le spallotte imbottite sotto le camicie.

Mi ricordo le gomme profumate. E la collezione dei puffi.

Io mi ricordo la borsa della Naj Oleari.

Mi ricordo i capelli frisée.

Mi ricordo che facevamo il risvolto in vita per accorciare le gonne.

Mi ricordo gli scaldamuscoli fluorescenti.

Mi ricordo i ciuffi impossibili tenuti in piedi dalla spuma per capelli.

Mi ricordo le girelle e le pubblicità col pistolero.

Mi ricordo “Kiss me Licia” e i testi delle canzoni dei Bee Hive.

Mi ricordo la BMX.

Mi ricordo il Cioè.

Mi ricordo i poster degli Spandau Ballet e dei Bros.

Mi ricordo che anche gli italiani cantavano in inglese.

Mi ricordo che non volevo sposare Simon Le Bon: era vecchio.

Mi ricordo la Smemo.

Mi ricordo le espadrillas.

Mi ricordo che i film cominciavano alle otto e mezza di sera.

Mi ricordo i mangianastri. E le cuffiette con la spugnetta.

Mi ricordo le penne Replay.

Mi ricordo la sigla di Lessie. E ogni volta piangevo.

Mi ricordo che lo smalto per le unghie c’era solo nelle tonalità dal rosso al rosa.

Mi ricordo del Cristal Ball.

Mi ricordo le Big Babol e i palloni che ti scoppiavano in faccia.

Mi ricordo che si beveva il Billy e che non c’era niente di più buono.

Mi ricordo che i tegolini erano quadrati.

Mi ricordo i maglioni troppo lunghi e troppo larghi.

Mi ricordo i paninari. E i punk con le creste.

Mi ricordo le reebok bianche che ti facevano il piede a banana.

Mi ricordo i ronfi.

Mi ricordo la tv senza telecomando.

Mi ricordo il sacco nero- e solo nero- dell’immondizia.

Mi ricordo il mangiadischi rosso dei 45 giri.

Mi ricordo che il 45 giri di Capitan Harlock era in vinile blu.

Mi ricordo che le Barbie erano solo bionde e col costume intero rosa.

Mi ricordo del castello di Grayskull.

Mi ricordo che lo stereo era fatto a strati e più era grosso, più era bello.

Mi ricordo che la scocca della tv era solo nera.

Mi ricordo del Dixan nei fustini cilindrici.

Mi ricordo del telefono grigio della sip.

Mi ricordo della 500 senza poggiatesta e lo scoppiettio del motore.

Mi ricordo la Peugeot 205.

Mi ricordo anche della Ritmo.

Mi ricordo che non c’erano i limiti di velocità e l’obbligo delle cinture.

Mi ricordo l’autoradio che si sfilava e si dava in mano alla fidanzata perché la portasse lei.

Mi ricordo la lotta ai brufoli e ai punti neri.

Mi ricordo che si giocava solo a pallavolo.

Mi ricordo il calippo da 500 lire.

Mi ricordo i banchi di scuola in formica con a destra i buco per il calamaio.

Mi ricordo le palline che si facevano tra le dita lavorando il Vinavil.

Mi ricordo che la coccoina che si spalmava con l’apposita paletta.

Mi ricordo che c’era una sola maestra. E basta.

Mi ricordo “Noi ragazzi dello zoo di Berlino” di Kristiana F.

Mi ricordo Bingo Bongo con Celentano.

Mi ricordo dell’enciclopedia a 40 volumi.

Mi ricordo che le puntine del giradischi ogni tot si cambiavano.

Mi ricordo che nessuno aveva il bancomat.

Mi ricordo che il bagno si faceva la domenica mattina.

Mi ricordo i MonCiccì.

Mi ricordo il Commodore 64.

Mi ricordo il gioco delle coppie e doppio slalom.

Mi ricordo “giochi senza frontiere”.

Mi ricordo i moretti nella carta rossa e oro che si compravano solo in Svizzera.

Mi ricordo “non è la rai”.

Mi ricordo Supercar. E Magnum PI.

Mi ricordo quando Gerry scotti faceva Smile.

Mi ricordo Uan. E bim bum bam.

Mi ricordo Hello Spank e mia madre che pensava che fosse un gatto, non un cane.

Mi ricordo il gioco a pile coi pesci che abboccavano alla calamita.

Mi ricordo che non c’erano i cinesi.

Mi ricordo del salvadanaio col bruco mela.

Già.

10/10/07

Vengo anch'io!

E' ufficiale: venerdì 19, alle 21,00, presso la chiesa sconsacrata di San Rocco, a Carnago (Varese),
io e Sua Maestà Raul Montanari parleremo del mio libro e del piacere della scrittura.
Io sarò tutta intimidita. Lui sarà bellissimo. E fisicato come sempre.
Ci venite, vero?

Pendolarismi.

Ho sempre pensato che ci fosse qualcosa di romantico nel buttarsi sotto i treni.
Mi commuove il pensiero, l’attesa della locomotiva in arrivo, la scelta di farlo spesso da una banchina, attendendo un treno in transito che vada ad una velocità decente.
Meno truce che farlo sotto i vagoni del metrò.
Aria, sole, magari in una giornata di luce.
Scegliere il binario.

Fare il pendolare della vita all’ultima corsa.

L’ho trovato dignitoso: un treno delle Nord carico del mattino.
Pieno soprattutto di studenti e impiegati.
Poca gente di colore. Extracomunitari quasi nessuno.
Questi treni sono più puliti di quelli dello stato.



Ieri mattina è andata così.
Il mio treno è sfilato silenzioso di fianco a quello fermo a Novate.
Sui binari un lenzuolo aperto a volo d’angelo.
Sotto quello che era stato qualcuno.
Allora c’ho fatto caso, a com’è Novate. E vista dal percorso obbligato dei binari, non mi è sembrato nulla di che.

Una volta arrivati in stazione ho sentito che forse era un ragazzo, uno studente, rimasto impigliato nel locomotore con lo zainetto.

E allora ho pensato che la morte ogni tanto ha una certa ironia.
Ti gioca dei brutti scherzi.
E il pensiero romantico dell’ultimo salto sui binari prende la brutta, sconsolante forma della sfiga.


(Oggi sul giornale c’era scritto che era un capotreno. Ha mancato l’appiglio, salendo. Chissà perché gli incidenti sul lavoro mi fanno meno tenerezza).

Loster.

Oggi Edo dice che prorompo dalla maglietta.
E' vero.

09/10/07

Presenze.

Se ne sta accucciata qui, un po’ in disparte.
Non sono ancora riuscita a vedere bene che faccia ha.
Mastica gomme. In continuazione.
Rumina a ritmo fisso.
E mi guarda annoiata, con insistenza.
Come una che sa già cosa c’è da fare.

Chiara mi tormenta.
(Sì almeno il nome lo so.)

E’ una di quelle che ti guardano tenendo il mento basso.
Butta le pupille in su.
E non molla la presa.

La prenderesti a schiaffi, Chiara.
Se non altro per quel modo tutto suo di andare dritto in faccia alla vita. A tutto quello che le capita.
Senza ragionare.

E’ qui.
Viene a disturbare nel momento meno opportuno, quando sto facendo tutt’altro.
E quando dico tutt’altro è proprio quello lì, il su e giù che si fa insieme.
Ecco. Lei lì in mezzo c’è sempre.
Nel momento in cui tutto il corpo si rivolta e implode, lei si palesa sulla porta.

Lo so cosa vuole da me.
Vuole essere scritta.

Non se ne andrà fino a che non l’avrò accontentata.

08/10/07

Attenzione! Presentazione!

Il 19 ottobre farò una presentazione a Carnago (Varese).
Forse con Raul Montanari.
O almeno, lo spero. I dettagali mi sono ignoti. Vi terrò amorevolmente aggiornati (se lì fuori qualcuno mi legge).

Ho scritto un romanzo. Posso fartelo leggere?

Quando un giovane autore – o una giovane autrice- vuole che tu legga quello che scrive, prima ti aggancia con varie mail mielose, poi ti chiede se hai tempo di leggere il suo lavoro, sai l’ha spedito a varie case editrici, una forse glielo pubblica, ha avuto commenti riguardo al fatto che “scrive dannatamente bene”.
Tu speri bonariamente che abbia ragione, e nonostante le altre cose che hai da fare, ti fai spedire il plico.
Da lì comincia il delirio.

C’è l’ansia dell’attesa. La sua. Perché hai la sua opera tra le mani e non vede l’ora che tu la legga.
E allora ti manda mail carine tipo:
“Ciao Vale, ma che fine hai fatto? Non ti fai sentire più....baci”

Poi ti fai coraggio, apri il carteggio, cominci a leggere, e tutti i flebili dubbi che avevi rispetto alle sue tanto decantate doti, si concretizzano.
Quello che ha scritto è semplicemente brutto.
Oggettivamente brutto.
Allora glielo spieghi con le buone, che è tutto da prendere e cestinare.
Badate, non da rifare, ma proprio da buttare.
Non si salva niente, quello che ha scritto è un morto che cammina, e certi mostri vanno abbattuti.

Spiego con calma al giovane autore (che è anche donna, eh), che deve leggere, esercitarsi, insistere.
E la capacità di cestinare è un segno di crescita, di capacità di autocritica.
Arrivo da centinaia di pagine cestinate e da migliaia di incipit abortiti, io.

Ti spieghi molto sinceramente, perché è questo che ti ha chiesto: un giudizio sincero. Tu ti sei trascinata fino a pagina trenta senza riuscire ad andare oltre.
Perché di più non si poteva.

Stili la mail più educata del pianeta, ma anche la più ferma.
Invii.

Dopo un po’ arriva la sua risposta:
(ne faccio una sintesi… anche perché non vorrei sentirmi dire che non rispetto la privacy e cazzate simili)

(…) Accetto i tuoi giudizi
(…) ma ognuno crea il proprio stile anche nella confusione...chi lo ha letto ha capito benissimo l'ambientazione e via dicendo ed è stato catturato dal mio modo di scrivere
(…) ma ti posso assicurare che in giro ho letto tanta spazzatura che è stata pubblicata, senza un filo logico e senza dare emozioni...comunque questo è il tuo parere, non di tutti per fortuna. Ti ringrazio lo stesso.

Poi arriva una seconda mail di “rettifica” sui contenuti.

(…) Ah dimenticavo di dirti che ogni artista vive per la propria arte, e non per il commercio...è vero io scrivo per me stessa, non per gli altri, e questo mi basta.


Al che uno si domanda: E allora perché cazzo vuoi pubblicare?

(…)Non dico che il mio libro è un capolavoro(non ho questa presunzione), ma non mi sembra che sia totalmente da buttare via e cmq un lavoro (essendo una raccolta di storie), non si può giudicare dopo solo trenta pagine!!!


Faccio notare- ed è la verità- che nelle case editrici leggono solo la prima pagina. Se quella non convince, il lavoro finisce nel più grande archivio del mondo: il cestino.
Mi è stato chiesto un giudizio, l’ho dato.
Quindi come dire: tanti baci e in bocca al lupo per il futuro.

Risposta:

(…)per quanto riguarda lo stile di uno scrittore, non esistono più dei criteri da rispettare, anche la letteratura è diventata sperimentale...si vede che non conosci tanta letteratura inglese, da Virginia Woolf, James Joyce, Eliot
(…)… per fare della critica bisogna anche saperla fare ed essere aperta a varie espressioni che non siano necessariamente standard...

(…)il lettore deve collaborare col testo, deve essere un lettore attivo...leggi "Sei passeggiate nei boschi narrativi di Eco" o "Gli attrezzi del narratore" di Perissinotto...dal Novecento in poi non si cerca più un autore passivo, ma un autore che collabori col testo....

N.B.
Se ragiono da semplice lettrice, a me, quelli che mi danno un libro in mano e mi chiedono anche uno sforzo, oltre alla fatica di leggerli, mi fanno veramente incazzare.


(…)i giudizi costruttivi servono, non quelli distruttivi come i tuoi.

Mi domando: allora i giudizi costruttivi sono solo quelli positivi?
Io ho ricevuto migliaia di rifiuti. E mi sono serviti tutti.

(…) Non si butta mai un lavoro, perchè per quanto sia sbagliato, serve sempre per correggersi...Cara mia scrittrice hai tante cose da imparare anche tu, prima di salire in cattedra e giudicare...io continuerò per la mia strada...e ricorda che non si giudica una buona cena solo se si è allergici all'antipasto!


E poi il gran finale:

(…) però non essere così arrabbiata quando dai una valutazione, perchè davanti a te hai sempre e comunque una persona, con la sua sensibilità, è evidente che non conosci l'arte dell'eufemismo...potevi dire le stesse cose in maniera diversa...ma evidentemente non conosci dei modi più garbati...Ci tengo a precisare che accetto i giudizi, ma non il modo in cui li esprimi. Sei fredda, distaccata, distruttrice....

Infatti chi mi conosce sa che ho lo sguardo da invasata, urlo come un’ossessa qualsiasi cosa mi si chieda e soprattutto picchio i bambini.


(…)credo che dovresti respirare un pò e rilassarti, e rivedere una parte del tuo carattere che non è sinceramente facile da sostenere.....mi hai deluso, perchè vedevo in te una persona da cui poter imparare qualcosa, non una che mirasse a farmi passare la voglia di scrivere...le persone vanno incitate, non distrutte...saresti una pessima insegnante.

Ah, ci tenevo a precisare che ho lasciato la punteggiatura e la grammatica intatte.
E’ con estremo orrore che sto notando come la maggior parte delle persone (giornalisti compresi) scrivano “un po’” con l’accento invece che con l’apostrofo.


Che dire?
Aspetterò con ansia l’uscita del suo libro in tutte le librerie.
Torno a rimorchiare in rete, vah!

Ah, non chiedetemi di leggere i vostri lavori: non lo farò.

05/10/07

Madame V

Ieri è stato il giorno dello shopping compulsivo.
Madame V è un luogo d’altri tempi.
Dove una signora distinta ti apre la porta indossando una camicia nera elegantissima e una gonna lunga con una fascia a lacci stretti che le delinea la vita.
Ci sono appendini, ma anche armadietti laccati di nero, che ricordano i boudoir e case private cinesi.
Attorno, tutto finissimo armamentario al femminile.
Pizzi e crinoline di alta qualità, corsetti, bustini tempestati di perle, coordinati di raso, frangette charleston.
Piume deliziose e oggetti che fanno della civetteria una dota meravigliosa.
Finezze che solo una donna può desiderare.
Il genere di biancheria che solo un uomo con molto denaro e parecchio buon gusto ti può regalare.
E’ tutto gioioso: dal bellissimo divano tondo al centro, con la vetrinetta interna piena di frustini luccicanti e collari swarovsky.

Tutto è a misura di donna, calibrato con eleganza.
Niente feticci di plastica. Fluorescenze o super size.
Qui tutto è femmina.

Anche lei, che con quell’accento straniero, forse russo, ti elenca carinissima tutte le cose più simpatiche che puoi indossare facendoti sentire a casa.
I camerini di prova sono dietro a tendaggi spessi, teatrali.
E anche lì sedie, armadietti, pizzi che vogliono solo essere provati.
E mentre si china per mostrarti anche quell’altro articolo che forse potrà piacerti, la scollatura si apre leggermente, la lunga collana di perle dondola fino alla cinta.

E una volta tanto vorresti sapere lei cosa porta, sotto quella camicia nera.

03/10/07

Covare.

Sono ufficialmente tra quelle che pisciano ogni mattino sul tamponcino assorbente.
Sono una del terziario avanzato che usa ‘PERSONA’: l’infernale macchinetta pro o contro fertilità, a seconda.

La scienza e la tecnica hanno fatto di me una donna leggibile, classificabile, riscontrabile.
Il display conta e decanta la mia ovulazione.
Ogni mattina (12 nel primo ciclo, per la precisione), miro e sparo un po’ a casaccio centrando il tampone assorbente, una linguetta chirurgica in microsfere assorbenti che succhiano con l’urina i miei primi ormoni del mattino.

Non è vero che diventa tutto meccanico: a me rompe le palle alzarmi e dover spalancare il dannato coperchietto.
Le luci si sintonizzano, si calibrano, e poi il led giallo mi incita al doveroso assegno.
Calo le braghe, e non solo nel senso filosofico del termine.
Mi accomodo, scarto il tamponcino e mi concentro.
Alle sei meno dieci del mattino.


La vescica si strazia nel controllo del getto, miri fin che puoi, con gli occhi impastati di sonno.
Devi centrarlo, eh! Deve essere imbevuto delle dorate gocce del mattino.
Poi tappi e aspetti che la linguetta di controllo cambi colore. Intanto finisci, e quello che dovrebbe essere liberatorio non lo è più del tutto. Resta quel fastidio al basso ventre, mai soddisfatto del tutto.

Inserisci il tampone nel comodo lettore e aspetti il resoconto.



Oggi ho l’ovetto fecondabile comparso sul dispaly.
Sono tutta un ormone positivo.
Una femmina in assoluta predisposizione generativa.
Sono la dea madre del pianeta.
Un concentrato di femmina ancestrale.

Sono statisticamente più donna del solito.

Che qualcuno mi fermi!

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