23/11/14

Essere di Varese.


Varese ha una strana identità. Essere di Varese ha un sacco di perché. Quelli di Varese sono quei che devono prendere i treni delle nord ogni mattina presto per andare a Milano. Siamo i pendolari a vita della capitale meneghina. Noi di Varese non siamo una Milano in piccolo. Da noi dare del milanese a qualcuno è uno sfottò. Quindi se qualcuno vi dice “sei proprio un milanese” preoccupatevi.
Se vai a Milano ci trovi un sacco di varesini in trasferta permanente. Ci trovi gente che torna ogni week end ma si guarda bene dal dirlo, perché è meglio andare a Santa o in qualsiasi altro posto della pianura padana piuttosto che venire a Varese. 
Noi ce l'abbiamo con Milano da una vita. 
Ogni tanto anche con Como, ma è più una roba calcistica. 
Se sei di Varese gli amici di Milano non ti vengono a trovare perché anche col tom tom non trovano la strada. Mentre a te basta spiegare l’uscita da prendere e cinque rotonde da contare, ciascuna con qualcosa di ben definito in mezzo, tipo un aereo o una canoa, e sei arrivato. 
Essere di Varese ti fa crescere con la voglia di riscatto, non sai mai bene da cosa. Forse un bisogno di identità. Perché essere varesini non è come essere varesotti, se sei di Busto o di Gallarate con Varese ci fai solo provincia, non identità. 
Essere di Varese ha i suoi motivi d'orgoglio. Abbiamo cose nostre che restano mitiche e valgono per tutti. Essere di Varese ti dà l'impressione di non fare cose abbastanza grandi quando le fai. Che ci vuoi fare? È che viviamo di confronti. Vallo a spiegare a quelli di Milano che loro hanno i panzerotti di Luini e noi la pizza dello Zei.
E poi se chiedi dove si mangia bene la pizza, loro arrivano con un elenco infinito di posti, noi con tre al massimo: lo Zei per quella al trancio, la pizza della Motta e l’altra pizzeria proprio all’inizio del corso. Fine. Varese ti dà poche scelte, prendere o lasciare, e la vita, se vuoi, ti si risolve nel giro di pochi chilometri.

Quelli di Milano hanno il Duomo, noi il Sacro Monte, loro hanno la Rinascente, noi la Standa, loro hanno da Claudio, e noi ce ne guardiamo bene, perché mettersi a tirarsela per mangiare il pesce in pescheria è proprio da milanesi. Loro sono quelli che il bosco lo devono mettere in verticale perché non hanno più posto. Venissero da noi di boschi ne vedono quanti ne vogliono, a perdita d'occhio. Infatti ci chiamano la città giardino. E a questo punto si apre il filone marketing: i milanesi si sarebbero spacciati per gente dal pollice verde mettendo in piedi serre dove compri i fiori, mangi, bevi e ci organizzi pure i matrimoni. Noi no: qui o fai una cosa, o fai l’altra. 
Milano è la nostra antagonista ricca, quella apparentemente riuscita. Loro hanno via Monte Napoleone, noi le vasche in corso. Loro hanno i musei, noi villa Panza, loro hanno il principe di Savoia, noi il Palace (si, qui ci sarebbe stato bene dire che abbiamo il Grand Hotel del Sacro Monte, quello in stile liberty, ma essere di Varese significa anche questo: avere delle domande senza risposta, tipo "Quando lo riapriranno? Boh" ). Quando sei di Varese prima o poi finisci sparpagliato nel milanese in mezzo a un sacco di identità diverse, qualcuno nega di essere nato qui: troppo difficile ammettere di essere della provincia.
Essere di Varese ti fa trovare un sacco di buone scuse per non andare a Milano, prima tra tutte il traffico e le strade, il caos, noi che la città te la facciamo girare tutta in un unico, filatissimo senso unico. Essere di Varese ti fa essere così: arrabbiato con la vita, alla costante ricerca di qualcosa di meglio. Non lo so se sia un gran posto, anche perché lo state chiedendo a una che non è nata in centro. Qui quando si dice essere di provincia, si intende quella vera. E io lo sono orgogliosamente. Quindi se vi va, venite a fare un giro, ammesso che il tom tom vi ci porti e non pensiate che sia troppo lontano. Dopotutto c'è il lago. Fermo, ma c’è il lago.


12/11/14

"Ma lo sai che sei carina?"

Per carità, attaccar bottone è pure una bella cosa. Però dipende dal dove, dal quando e soprattutto dal "se mi va di chiacchierare con te". In vita mia mi sono sentita urlare dietro di tutto, e non perché io sia un gran che. In questi anni sono passata dal trovare divertenti e addirittura lusinghieri alcuni commenti, al non tollerarli più. Mi sono resa conto che ero vista e guardata come un pezzo di carne con le tette. Una vagina a passo spedito. Cosce in movimento. Mi sono domandata cosa volesse, alla fine, quella gente da me. Se non faccio ciò che si aspettano- ovvero sorridere e in qualche modo "starci",  se non rispondo, o peggio, dico di lasciarmi in pace, divento immediatamente la peggio stronza sulla faccia della terra. Una da insultare.
Se fossi accompagnata da un energumeno quei complimenti mi arriverebbero lo stesso?
Se fossi un uomo, mi saluterebbero comunque?
Questi uomini si domandano se a me fa piacere ricevere certe attenzioni?
A loro è mai venuto in mente che sto facendo altro, che se cammino per strada è perché mi sto facendo gli affari miei e che no, non amo essere disturbata?


Su Elle il mio pezzo a riguardo. 
 (la foto è presa dal sito di Hollaback, di cui parlo nel post).

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