Varese ha una strana identità. Essere di Varese ha un sacco di
perché. Quelli di Varese sono quei che devono prendere i treni delle nord ogni
mattina presto per andare a Milano. Siamo i pendolari a vita della capitale meneghina.
Noi di Varese non siamo una Milano in piccolo. Da noi dare del milanese a
qualcuno è uno sfottò. Quindi se qualcuno vi dice “sei proprio un milanese”
preoccupatevi.
Se vai a Milano ci trovi un sacco di varesini in trasferta
permanente. Ci trovi gente che torna ogni week end ma si guarda bene dal dirlo,
perché è meglio andare a Santa o in qualsiasi altro posto della pianura padana
piuttosto che venire a Varese.
Noi ce l'abbiamo con Milano da una vita.
Ogni
tanto anche con Como, ma è più una roba calcistica.
Se sei di Varese gli amici
di Milano non ti vengono a trovare perché anche col tom tom non trovano la
strada. Mentre a te basta spiegare l’uscita da prendere e cinque rotonde da
contare, ciascuna con qualcosa di ben definito in mezzo, tipo un aereo o una
canoa, e sei arrivato.
Essere di Varese ti fa crescere con la voglia di riscatto, non sai mai
bene da cosa. Forse un bisogno di identità. Perché essere varesini non è come
essere varesotti, se sei di Busto o di Gallarate con Varese ci fai solo provincia,
non identità.
Essere di Varese ha i suoi motivi d'orgoglio. Abbiamo cose nostre
che restano mitiche e valgono per tutti. Essere di Varese ti dà l'impressione
di non fare cose abbastanza grandi quando le fai. Che ci vuoi fare? È che
viviamo di confronti. Vallo a spiegare a quelli di Milano che loro hanno i
panzerotti di Luini e noi la pizza dello Zei.
E poi se chiedi dove si mangia bene la pizza, loro arrivano con
un elenco infinito di posti, noi con tre al massimo: lo Zei per quella al
trancio, la pizza della Motta e l’altra pizzeria proprio all’inizio del corso.
Fine. Varese ti dà poche scelte, prendere o lasciare, e la vita, se vuoi, ti si
risolve nel giro di pochi chilometri.
Quelli di Milano hanno il Duomo, noi il Sacro Monte, loro
hanno la Rinascente, noi la Standa, loro hanno da Claudio, e noi ce ne
guardiamo bene, perché mettersi a tirarsela per mangiare il pesce in pescheria
è proprio da milanesi. Loro sono quelli che il bosco lo devono mettere in
verticale perché non hanno più posto. Venissero da noi di boschi ne vedono
quanti ne vogliono, a perdita d'occhio. Infatti ci chiamano la città giardino.
E a questo punto si apre il filone marketing: i milanesi si sarebbero spacciati
per gente dal pollice verde mettendo in piedi serre dove compri i fiori, mangi,
bevi e ci organizzi pure i matrimoni. Noi no: qui o fai una cosa, o fai l’altra.
Milano è la nostra antagonista ricca, quella apparentemente
riuscita. Loro hanno via Monte Napoleone, noi le vasche in corso. Loro hanno i
musei, noi villa Panza, loro hanno il principe di Savoia, noi il Palace (si,
qui ci sarebbe stato bene dire che abbiamo il Grand Hotel del Sacro Monte,
quello in stile liberty, ma essere di Varese significa anche questo: avere
delle domande senza risposta, tipo "Quando
lo riapriranno? Boh" ). Quando sei di Varese prima o poi finisci
sparpagliato nel milanese in mezzo a un sacco di identità diverse, qualcuno
nega di essere nato qui: troppo difficile ammettere di essere della provincia.
Essere di Varese ti fa trovare un sacco di buone scuse per non
andare a Milano, prima tra tutte il traffico e le strade, il caos, noi che la
città te la facciamo girare tutta in un unico, filatissimo senso unico. Essere
di Varese ti fa essere così: arrabbiato con la vita, alla costante ricerca di
qualcosa di meglio. Non lo so se sia un gran posto, anche perché lo state
chiedendo a una che non è nata in centro. Qui quando si dice essere di
provincia, si intende quella vera. E io lo sono orgogliosamente. Quindi se vi
va, venite a fare un giro, ammesso che il tom tom vi ci porti e non pensiate che
sia troppo lontano. Dopotutto c'è il lago. Fermo, ma c’è il lago.